Thauma? Ma che razza di nome è questo da mettere ad un’applicazione?
I Romani dicevano “nomina sunt omina”, ovvero che i nomi sono augurio, presagio, segni del destino. Thauma non fa eccezione, infatti racchiude tanto significato in poche lettere.
Viene infatti da “thaumàzein”, che esprime il provare meraviglia, l’emozione che secondo Platone è all’origine del sapere.
Anche Aristotele nella “Metafisica” riprende il concetto di thauma nel senso di “meraviglia”, tipica di chi si interroga sulle cose fino a domandarsi quale senso abbiano. L’emozione che si prova nel conoscere, fatta di stupore e sorpresa (e talvolta anche disappunto o preoccupazione per un risultato inaspettato) nel vedere la realtà da prospettive inusuali e inedite. Questa parola è passata anche nella lingua moderna: il “taumaturgo” è chi opera miracoli, prodigi, meraviglie.
Ma che cosa ha ancora da dire la filosofia di 2500 anni fa ai capi delle imprese di oggi? Le neuroscienze cognitive ci confermano che ha ancora molto da insegnare: alla base della conoscenza c’è sempre una motivazione, se non altro il piacere di conoscere.
Ma se nella filosofia Greca questo piacere è fine a se stesso, in ambito aziendale la conoscenza è strumentale alle finalità strategiche e organizzative del capo-azienda. Thauma fa esattamente questo: apre al CEO delle PMI prospettive di conoscenza nuove sulla propria organizzazione.
E come il “thauma” della filosofia Greca antica, l’emozione della conoscenza può essere sia positiva, “non avevo mai considerato le cose da questo punto di vista”, sia negativa, “non mi aspettavo di trovare questa situazione”.
Si dice che un buon reporting “non deve mai generare sorprese” e questo è un criterio giusto nell’indirizzare il lavoro di un professional, un controller o un CFO. Per il CEO le “sorprese”, positive o negative che siano sono un potente incentivo all’azione, all’intervento.
Riassumendo: senza una buona dose di motivazione, passione e curiosità non c’è conoscenza. Questo vale anche, o forse, soprattutto, per l’informazione nelle organizzazioni, che può sempre originare reazioni di segno opposto. Allora diviene importante che la “meraviglia” scaturisca da un sistema oggettivo e imparziale come Thauma, che assume il punto di vista del CEO, che vede l’azienda come un tutto unico.
Thauma si propone di offrire al CEO spunti che attivano e aumentano la motivazione a conoscere. Ma conoscere cosa?
Thauma e la “curiosa” matrice di Donald Rumsfeld
Il 12/2/2002, interpellato sulla stabilità della situazione in Afghanistan, l’allora ministro della difesa americano Donald Rumsfeld pronunciò una frase che generò una montagna di discussioni e polemiche e per la quale fu “massacrato” dall’opinione pubblica e dagli analisti politici, oltre che dagli avversari.
“Ci sono cose che sappiamo: cose che sappiamo di sapere. Ci sono cose che sappiamo di non sapere: sappiamo che non le sappiamo. E poi ci sono cose che non sappiamo di non sapere: non sappiamo che non le sappiamo”.
Il giudizio sulla sua dichiarazione può essere controverso, ma esprimeva una verità profonda per quanto non intuitiva, che tanti grandi del passato hanno provato ad esprimere con parole proprie:
- Un singolare scrittore-filosofo Americano dell’800, Henry David Thoreau, che nel suo libro autobiografico “Walden ovvero Vita nei boschi” scriveva che “essere coscienti di sapere ciò che sappiamo e di non sapere ciò che non sappiamo, questa è la vera conoscenza”.
- Confucio, il quale si poneva l’interrogativo: “come possiamo essere consapevoli della nostra ignoranza…se non facciamo che ricorrere tutto il tempo alle nozioni che già sappiamo?”
- “Aumentando il campo della conoscenza aumentiamo soltanto l’orizzonte dell’ignoranza”, fece sintesi Henry Miller ne “Il giudizio del cuore” (1941).
- Lo statista, politico e scrittore britannico Benjamin Disraeli, in “Sybil” (1845): “la consapevolezza della nostra ignoranza è un grande passo verso la conoscenza”.
Ma riferito al CEO e alla sua conoscenza della propria azienda cosa può significare tutto questo? È possibile che il capo-azienda non conosca, almeno in parte, ciò che accade nella propria organizzazione?
Riferendosi ai quadranti della “matrice Rumsfeld-Thauma”:
- Il quadrante (1) non presenta particolare interesse: è il reporting standard, quello “senza sorprese”. Thauma lo copre interamente.
- Il quadrante (2) invece è tutto ciò che non trova posto nel reporting, che fa parte del “sapere tacito” o “implicito”. Questa zona di conoscenza andrebbe, almeno una volta ogni tanto, riportata all’osservazione esplicita e riconsiderata, perché tante conoscenze possono essere diventate obsolete o, al contrario, critiche. Scavando fra i dati di Thauma possono emergere queste informazioni.
- Il quadrante (3) è la sfida che Thauma lancia al CEO: tutto quello che i collaboratori non gli dicono e/o che i sistemi informativi non rilevano perché non strutturati per farlo.
- Il quadrante (4) è, con le parole di Rumsfeld, il valore aggiunto unico, addizionale, che Thauma può portare al CEO evidenziando le aree di rischio, ciò che non è coperto da informazioni e che non fa parte della consapevolezza del CEO.
Ma come si fa a fare emergere ciò che non si sa di non sapere?
Connecting the dots (e non è un passatempo): il CEO “cacciatore”
Per milioni di anni l’uomo è stato un cacciatore-raccoglitore nelle savane. Quindi dobbiamo riconoscere che alcune abilità fondamentali sono “cablate” nel cervello e nei sensi della specie. Come cacciatore ha imparato a inseguire prede riconoscendo le loro tracce nel fango e nella sabbia, intuendo il loro passaggio da rami spezzati, ciuffi di pelo impigliati nei rovi, resti di cibo, odori…
Come raccoglitore ha imparato a mangiare certe bacche ed erbe nutrienti e a lasciar perdere quelle velenose, distinguendo forme, colori, odori, sapori, consistenza al tatto e al palato…in sostanza: l’essere umano è un formidabile utilizzatore di “indizi” (“cues”).
Il CEO, per ruolo organizzativo e sociale e, per quelli di successo per predisposizione e talento naturale è, e deve essere, un campione nella “specialità”:
Il metodo indiziario consiste nel non fare affidamento sulla “big picture”, bensì sulle parti apparentemente insignificanti della stessa, i particolari, dai quali è spesso possibile trarre più “verità” perché trascurati da uno sguardo dall’alto e quindi meno soggetti a falsificazioni ed adulterazioni.
Il metodo indiziario ad esempio è stato utilizzato con successo per stabilire l’autenticità di un’opera d’arte in quanto l’imitatore e il falsario spesso trascurano la riproduzione di certi particolari nello stesso stile dell’originale. Si tratta di un metodo tipico anche della “semeiotica medica”: arte, più che “scienza”, di riconoscere la malattia dai sintomi, senza cioè “aprire” il paziente, ruolo riservato all’anatomia patologica.
Ma a ben pensarci, con la diagnostica strumentale di laboratorio il ruolo della semeiotica viene di fatto ridimensionato. E un sistema di KPI come quello offerto da Thauma sta all’intuito, o al “fiuto”, come la diagnostica strumentale sta alla semeiotica.
Ridimensionamento non implica però il venir meno della necessità di interpretare i valori che escono dalla diagnostica strumentale. Anche dopo che questa ha fornito il suo esito, serve comunque un’interpretazione dei valori che conduca alla diagnosi, che può risultare non univoca proprio per effetto dell’ampiezza dei valori o le relazioni di causalità multipla che intercorrono fra certi valori e certe patologie. Quindi il compito di “unire i puntini” resta critico e tipico del CEO.
Nella “matrice Rumsfeld-Thauma” la ricerca indiziaria e il collegamento dei puntini sono attività che fanno parte dei due quadranti a destra. Thauma contribuisce a “indirizzare” o “avviare” la ricerca con “aiutini” (“hint”) molto discreti perché è bene non interferire più di tanto e lasciare il massimo spazio a intuizione, curiosità e fantasia.
Ma vogliamo scherzare? “Impariamo” da un’applicazione?
Come ricerchiamo le informazioni in generale? Il nostro comportamento di ricerca può essere classificato come attivo/passivo e diretto/indiretto.
- Diretto: cercare una particolare informazione che può essere specificata a qualche livello di definizione.
- Indiretto: cercare più o meno a caso esponendosi all’informazione.
- Attivo: svolgere delle attività di ricerca.
- Passivo: essere semplicemente nella disposizione di assorbire l’informazione che si incontra.
Riassumendo:
- Searching (a) e Monitoring (b) sono modalità di ricerca per trovare informazioni che sappiamo di aver bisogno di conoscere.
- Browsing (c) e Being Aware (d) sono modalità con le quali cerchiamo e troviamo informazioni che non sappiamo di avere bisogno di conoscere.
Contrariamente a quanto si potrebbe pensare il quadrante (d), passivo/indiretto, il semplice essere coscienti / consapevoli è una fonte enorme, la principale, di quanto impariamo e conosciamo.
Per un CEO che guarda Thauma senza uno scopo preciso in mente e senza fare niente, guardare semplicemente l’organizzazione (senza che l’organizzazione sappia di essere guardata) diventa un modo per rendersi conto in prima persona delle difficoltà quotidiane dei propri collaboratori ai vari livelli, degli sforzi che fanno, delle “scorciatoie” che prendono per aggirare e/o far funzionare le procedure, degli errori che commettono più o meno volontariamente e/o consapevolmente…
Le modalità Monitoring (b) e Browsing (c) sono opposte e complementari. Il Monitoring implica uno stato di vigilanza, almeno come retro-pensiero, qualcosa che si ha sempre in mente anche se non continuamente presente all’attenzione; ad es. chi guida non guarda sempre se si accende qualche spia del motore, ma ha sempre pronto l’alert nel caso si accenda una spia con un segnale di malfunzionamento (che pure non si aspetta).
Non è possibile, invece, tracciare una linea netta di distinzione fra Being aware (d) e Monitoring (b). Li accomuna l’atteggiamento passivo, la mancanza di bisogno che spinge alla ricerca, ma li distingue il maggior livello di sensibilità / vigilanza verso certi punti di interesse che creano comunque una selezione del campo osservato nel caso del Monitoring.
Il monitoraggio crea una vicinanza (che può anche non essere strettamente fisica), una contiguità di interessi che comunque porta a “trovare”. Cogliere anche i “segnali deboli” è un compito centrale nell’attività di governance del CEO.
Per quanto riguarda il Browsing (c), si è in una situazione di assenza di un particolare bisogno informativo o interesse specifico e ci si espone attivamente a qualche possibile nuova informazione. È l’atteggiamento di curiosità. Dal punto di vista evolutivo è la ricerca di cibo, con tutte le sue incognite: la preda può trasformarsi in predatore, la pianta può essere velenosa…
Il Searching (a), invece, è cercare in modo attivo una certa informazione definita. Alquanto inaspettatamente, secondo gli studi degli scienziati cognitivi è il comportamento che contribuisce meno all’apprendimento e alla formazione di conoscenza: solo 1% contro circa 80% attribuibile al semplice Being Aware e il residuo 19% diviso fra Browsing e Monitoring!
È possibile che queste percentuali non siano trasferibili in modo immediato al mondo dei CEO, essendo state ricavate nell’ambito della ricerca sui processi di apprendimento, ma resta un punto disturbante.
Una delle spiegazioni più accreditate è che gli individui, o almeno la maggior parte di loro e nella maggior parte delle circostanze, nella ricerca di informazioni usano largamente il principio del minimo sforzo, fino al punto di accontentarsi di un’informazione di minore qualità (meno affidabile) se essa è più prontamente disponibile o più facile da usare.
Consci di questo problema, ormai intrinseco nella società di oggi, il compito di Thauma non è di andare contro le abitudini ed i metodi di ricerca più utilizzati dai CEO. Al contrario, la priorità è quella di assecondarli con risultati e valori sempre più sicuri, affidabili e di indubbia validità.